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  • Immagine del redattoreCSA Offida srl

Attività extra lavorativa durante il periodo di malattia porta sempre al licenziamento?


Cosa ha deciso la Cassazione Nel caso preso in esame, la Corte di Cassazione ha confermato il corretto operato del Collegio di merito che ritiene ingiustificato il licenziamento irrogato ad un dipendente per aver svolto, durante il periodo di malattia, un'attività ritenuta non compatibile con la patologia che lo affliggeva e, in ogni caso, idonea a pregiudicarne o ritardarne la guarigione. Tale decisione viene adottata sulla base delle risultanze dell'espletata CTU medico legale nonché delle ulteriori evidenze istruttorie, dalle quali era emerso che le attività extra lavorative svolte dal dipendente, nel periodo di malattia, non avevano aggravato la patologia - realmente esistente - né ritardato la guarigione. La soggezione della fattispecie al regime della Legge Fornero consentiva peraltro al dipendente di vedersi garantita, in conseguenza dell'accertata insussistenza del fatto contestato, la tutela reintegratoria piena. Le attività espletate dal dipendente in costanza della malattia La disamina della recente pronuncia ci consente di affrontare il tema - ancor più amplificato dall'invasione dei social network nella vita privata degli individui - della condotta del lavoratore durante il periodo di malattia. La casistica riguarda nello specifico quei lavoratori in malattia trovati a svolgere attività, di vario genere, sia lavorativa che extra lavorativa, tra le quali ad esempio competizioni sportive, esibizioni artistiche o, più genericamente, attività impegnative dal punto di vista fisico, tali da pregiudicare il recupero delle energie lavorative. La copiosa giurisprudenza formatasi sull'argomento stabilisce in maniera molto chiara che ciò che viene ad essere precluso, in costanza di malattia, non è lo svolgimento di qualunque attività, anche lavorativa, bensì quello di attività incompatibili con lo stato di salute, cioè tali da comportare un pregiudizio alla guarigione del lavoratore. In pendenza della malattia, il dipendente è obbligato ad osservare obblighi di correttezza e buona fede, in virtù dei quali egli è tenuto ad adottare ogni cautela affinché cessi lo stato patologico cui è affetto, nonché a predisporre tutte le precauzioni del caso per facilitare e, quanto meno, non ostacolare la guarigione. Sul punto è interessante l'ordinanza della Corte di Cassazione 2 settembre 2020 n. 18245, che era già intervenuta sull'argomento per chiarire che lo svolgimento di altra attività – lavorativa o extra lavorativa – da parte del lavoratore in assenza per malattia, può giustificare il licenziamento in quanto lede i doveri di correttezza e buona fede: più in particolare, si ritiene corretto il licenziamento laddove “si riscontri che l'attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione”. Ed ancora recentemente sul medesimo tema, la Cass. 13 aprile 2021 n. 9647 ha rinnovato il concetto confermando che sussiste la violazione dei criteri di correttezza e buona fede (dunque, è legittimo il licenziamento) nel momento in cui l'attività svolta da parte del lavoratore è sufficiente a far “presumere l'inesistenza della malattia” o comunque anche nel caso in cui “la medesima, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e alle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio”. Cosa deve fare il datore di lavoro? Alla luce della sentenza analizzata, e tenuto anche conto l'orientamento espresso da parte della Suprema Corte in altre circostanze analoghe, l'azienda deve porre massima attenzione alla condotta del lavoratore al fine di comprendere se la condotta assunta può delineare una lesione irreparabile del vincolo fiduciario oppure è meritevole unicamente di una sanzione conservativa; l'istruttoria interna, in questi casi, è molto difficile e si basa non solo su prove testimoniali ma anche sull'utilizzo delle investigazioni private, utili a dimostrare l'illecito commesso da un lavoratore durante il periodo di malattia: dunque è opportuna una meticolosa valutazione dei fatti e soprattutto si deve tenere anche conto se il datore non fosse stato avvertito dell'attività “extra” svolta da un proprio dipendente. In questo caso, dunque, il datore di lavoro dovrà considerare alcuni aspetti:

  • durata dell'attività;

  • ambiente e contesto in cui viene svolta l'attività extra lavorativa;

  • effettivi rischi per la salute e la guarigione rispetto alla malattia dichiarata;

  • eventuale violazione dell'obbligo di fedeltà (art. 2105 c.c.);

  • dichiarazioni mendaci eventualmente rese dal dipendente.

Sul lato lavoratore, invece, la tenuità della condotta può rilevarsi nel momento in cui l'attività svolta è occasionale e comunque non incida sulle condizioni fisiche: un dipendente assente per malattia e affetto da lombo sciatalgia, per esempio, difficilmente potrà giustificare lo svolgimento di un'attività extra lavorativa come magazziniere in altra azienda, magari perfino concorrente.


Cass. 7 ottobre 2021 n. 27322


Fonte: MementoPiù Quotidiano Lavoro


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