Entro la fine del mese di giugno, ogni anno, i datori di lavoro devono verificare la corretta fruizione delle ferie non godute dai propri lavoratori dipendenti. Il D. Lgs. n. 66/2003 prevede infatti che il periodo annuale di ferie legali retribuite non può essere inferiore a 4 settimane, da fruire per almeno 2 settimane consecutive nel corso dell’anno di maturazione e per le restanti 2 settimane nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. Ne deriva che, entro la fine del prossimo mese di giugno devono essere fruite le ferie residue maturate nel 2019. La mancata fruizione delle ferie espone il datore di lavoro alla possibile irrogazione delle sanzioni amministrative previste dal D. Lgs. n. 66/2003 ed inoltre, sull’importo della retribuzione potenzialmente dovuta per le ferie non godute, sorge l’obbligo contributivo nei confronti degli istituti previdenziali. L’anno 2020 è stato funestato dalla pandemia Covid-19, che si protrae ancora nell’anno in corso. Le restrizioni imposte alle attività produttive e la contrazione o azzeramento della domanda di alcune categorie di beni e servizi, hanno imposto il ricorso agli strumenti di integrazione salariale speciali che il legislatore ha introdotto a partire dal mese di marzo dello scorso anno e che influiscono anche sulla maturazione e sugli obblighi di fruizione delle ferie. Termini di fruizione ordinari Il rispetto della normativa vigente in termini di fruizione delle ferie legali pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di operare dei controlli e una serie di conseguenti adempimenti. La mancata ottemperanza determina pesanti conseguenze anche in termini sanzionatori, oltre che di risarcimento dei danni nei confronti dei lavoratori. Il datore di lavoro ha infatti l’obbligo di: - concedere e far godere almeno 2 settimane di ferie entro l’anno solare di maturazione, dunque entro il 31 dicembre 2020. Nell’ipotesi di lavoratore assunto in corso d’anno va preso in esame l’anno effettivo di maturazione delle ferie, in relazione alla data di assunzione, e non l’anno solare. Le due settimane devono essere fruite consecutivamente qualora il lavoratore ne faccia espressamente richiesta. Il datore di lavoro è obbligato a soddisfare tale richiesta, seppur compatibilmente con le esigenze dell’attività d’impresa. - concedere e far godere nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione le restanti due settimane di ferie. Regole, limiti e sanzioni La contrattazione collettiva può intervenire per prolungare il termine di fruizione o rinviare il godimento delle ferie, attenendosi comunque a condizioni che non compromettano la finalità della tutela stabilita ex legis in ossequio all’ art. 36 della Costituzione. I CCNL possono dunque: - aumentare tale periodo, ma non ridurlo; - prevedere la possibilità di ridurre il limite delle 2 settimane, per esigenze eccezionali di servizio o aziendali; - prolungare il tetto massimo di 18 mesi per la fruizione delle settimane di ferie residue. N.B. Il termine di fruizione si sospende qualora si verifichi una causa di sospensione del rapporto quali, a titolo esemplificativo, l’astensione obbligatoria o facoltativa per maternità, ovvero una malattia di lunga durata o, come è accaduto quest’anno, in caso di ricorso alla CIG. La mancata fruizione delle ferie nei termini stabiliti dalla norma il datore di lavoro rischia una sanzione che va: - da 120 a 720 euro per ciascun lavoratore cui è riferita la violazione; - da 480 a 1.800 euro per ciascun lavoratore, se la violazione è commessa per più di 5 lavoratori ovvero si è verificata per almeno 2 anni; - da 960 a 5.400 euro per ciascun lavoratore, se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero si è verificata per almeno 4 anni. La sanzione non si applica nel caso in cui non sia possibile rispettare il periodo minimo di 2 settimane nell’anno di maturazione, per cause imputabili esclusivamente al lavoratore (come, ad esempio, in caso di prolungati periodi di assenza per malattia, maternità, infortunio, CIG). Eccezioni e proroghe Covid-19 Va inoltre tenuto in considerazione che la necessità di fronteggiare l’emergenza sanitaria Covid-19 ha reso indispensabile il ricorso alla fruizione, anche “forzata”, delle ferie per i lavoratori dipendenti posti in quarantena o comunque in esubero per la forte riduzione dell’attività produttiva. Tra le misure introdotte al fine di gestire l’emergenza Covid-19, il Governo ha più volte raccomandato a datori di lavoro pubblici e privati il ricorso a strumenti ordinari come i congedi ordinari retribuiti nel lavoro pubblico e il ricorso alle ferie nel settore privato, per evitare l’interruzione del rapporto di lavoro, stante anche il divieto di ricorso al licenziamento per motivi economici. Si ricorda che il datore di lavoro, nell’ambito del proprio potere direttivo, può unilateralmente porre in ferie i propri lavoratori dipendenti, fermo restando il rispetto di quanto previsto dalla contrattazione collettiva che prevede forme di bilanciamento tra esigenze aziendali ed esigenze dei lavoratori. Al riguardo la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con approfondimento del 31 luglio 2020, ha concluso che, in accordo a quanto previsto dalla legge straordinaria: - se la richiesta di utilizzo delle ferie proviene dal lavoratore, questa deve essere necessariamente accolta; - il datore di lavoro, sua sponte, può solo limitarsi a chiedere la disponibilità dei lavoratori a farsi collocare in ferie, tranne che non si tratti di periodi di ferie o di riposi già maturati in riferimento ad anni di servizio pregressi. Cassa integrazione Covid-19 e ferie Sulla base dei pareri forniti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è possibile affermare che, in caso di CIG a zero ore, la fruizione può essere posticipata al momento della cessazione dell’evento sospensivo coincidente con la ripresa dell’attività produttiva. Si tratta infatti di una delle specifiche fattispecie derogatorie connessa al venir meno della necessità di garantire al lavoratore il recupero delle energie psicofisiche in costanza di regolare svolgimento dell’attività lavorativa. Nell’ipotesi di CIG a orario ridotto, invece, deve comunque essere garantito al lavoratore il ristoro psico-fisico correlato all’attività svolta, anche in misura ridotta. Anche l’INPS ha stabilito che, in caso di interruzione temporanea della prestazione di lavoro per cause previste dalla legge quali malattia, maternità, CIGO, CIGS e CIG in deroga, qualora la sospensione avvenga nel corso dei 18 mesi di cui sopra, il termine per l’adempimento dell’obbligazione contributiva è da ritenersi sospeso per un periodo di durata pari a quello del legittimo impedimento, tornando a decorrere dal giorno in cui il lavoratore riprende l’ordinaria attività lavorativa. La regolare fruizione delle ferie costituisce previsione inderogabile e irrinunciabile nell’ambito un rapporto di lavoro subordinato, introdotto dal legislatore proprio a tutela del buon stato di salute psicofisica e del benessere del lavoratore. Per quanto riguarda invece la maturazione di ferie e permessi retribuiti, occorre ricordare che gli stessi maturano nella misura prevista dal CCNL applicato dall’azienda soltanto in caso cassa integrazione a orario ridotto. Qualora invece si tratti di CIG a zero ore occorre distinguere: - se il periodo di astensione totale dal lavoro è durato meno di 15 giorni del calendario del mese di riferimento, le ferie e i permessi maturano in proporzione; · se il periodo di astensione ha superato la durata di 15 giorni, il rateo di ferie e permessi non matura.
Fonte: quotidiano lavoro IPSOA
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