La Corte costituzionale, con la sentenza n. 209 depositata il 13 ottobre 2022, ha cambiato le regole per l'esenzione IMU per l'abitazione principale. Ha stabilito che, ai fini dell'esenzione per “abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.
Non c'è più il riferimento al nucleo familiare.
Per tutti coloro che, pur possedendo queste due condizioni, hanno versato l'IMU, si aprono ora le porte per chiedere il rimborso di quanto versato erroneamente alla luce della sentenza. Le porte, peraltro, non si aprono solo per il rimborso.
Condizione per l’esenzione IMU: la dimora abituale
Per quanto riguarda il verificarsi delle due condizioni, la questione più intrigante attiene alla “dimora abituale”
L'art. 43 c.c. stabilisce che “il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.
Da queste definizioni, ci pare che gli effetti più rilevanti scaturiscono dalla “dimora abituale”, che è riferita al luogo in cui il soggetto abita in forma continuativa (né sporadicamente, né in maniera occasionale) per lo svolgimento della propria vita quotidiana, dovendo coincidere con il luogo di residenza.
Pertanto, si ha dimora abituale quando una persona fissa la propria residenza in un determinato luogo, scegliendo di abitarvi stabilmente e ivi svolgendo con continuità le sue normali consuetudini di vita e le normali relazioni sociali.
Come dimostrare e verificare la dimora abituale
Nella sentenza n. 8627 del 28 marzo 2019 la Corte di Cassazione ha ribadito che “se è vero che incombe sull’Amministrazione l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, è anche vero che, in tema di agevolazioni tributarie, è chi vuole fare valere una qualsiasi forma di esenzione o di agevolazione che deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che ne legittimano la richiesta (Cass. n. 23228/2017; n. 21406/2012)”.
Da un lato, quindi, il contribuente deve provare di aver adibito l’immobile ad abitazione principale mediante esibizione di documenti riguardanti bollette relative a consumi (luce, acqua, gas) o contratti di utenze o altri elementi utili.
Dall'altro lato, incombe sull’Amministrazione l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria nel caso in cui voglia disconoscere il beneficio fiscale.
Gli strumenti di controllo dei Comuni
Nella sentenza la Corte ha fatto presente che i Comuni dispongono di efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui, in base a quanto previsto dall’art. 2, comma 10, lettera c), punto 2, D.Lgs. n. 23/2011, anche l’accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio; elementi dai quali si può riscontrare l’esistenza o meno di una dimora abituale.
In base a questa disposizione, al fine di rafforzare la capacità di gestione delle entrate comunali e di incentivare la partecipazione dei comuni all'attività di accertamento tributario, i singoli comuni hanno accesso, secondo le modalità stabilite con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate, d'intesa con la Conferenza Stato-città e autonomie locali, ai dati contenuti nell'Anagrafe tributaria relativi a:
1) contratti di locazione nonchè ogni altra informazione riguardante il possesso o la detenzione degli immobili ubicati nel proprio territorio;
2) somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio;
3) soggetti che hanno il domicilio fiscale nel proprio territorio;
4) soggetti che esercitano nello stesso un'attività di lavoro autonomo o di impresa.
La successiva lettera d) stabilisce che i comuni hanno altresì accesso, con le modalità di cui alla lettera c), a qualsiasi altra banca dati pubblica, limitatamente ad immobili presenti ovvero a soggetti aventi domicilio fiscale nel comune, che possa essere rilevante per il controllo dell'evasione erariale o di tributi locali.
Come funziona il rimborso dell’IMU
La legge di Bilancio 2020 (art. 1, comma 776, legge n. 160/2019) rinvia, per quanto non previsto dalle disposizioni di cui ai commi da 738 a 775 (tutte riguardanti l’IMU) alle disposizioni recate dai commi da 161 a 169 dell’art. 1 della legge n. 296/2006.
In base alle disposizioni contenute nel comma 164 dell’art. 1, legge n. 296/2006, il rimborso delle somme versate e non dovute, a titolo di tributo locale, e pertanto, anche per l’IMU, deve essere richiesto dal contribuente entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione.
Il Comune provvede a effettuare il rimborso entro 180 giorni dalla data di presentazione dell’istanza. Non è disciplinato il rimborso a iniziativa del Comune.
Il successivo comma 165 dispone che la misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale. Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili. Interessi nella stessa misura spettano al contribuente per le somme a esso dovute a decorrere dalla data dell’eseguito versamento.
Il rimborso deve essere richiesto entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento. Considerato anche il versamento di acconto di giugno 2022 si arriva fino al 2017.
Attenzione
Al contribuente, sulle somme rimborsate, competono gli interessi. Gli interessi non devono essere richiesti in sede di istanza di rimborso.
Quali situazioni si possono verificare?
Tenendo conto delle regole e degli strumenti in mano alle parti possono verificarsi le seguenti situazioni:
- il contribuente ha effettuato l'acconto di giugno 2022 con le disposizioni dichiarate illegittime;
- il contribuente ha versato l'IMU nei cinque anni precedenti;
- il contribuente ha in essere una dilazione di versamento e ha pagato le prime rate della rateazione;
- il contribuente, per le somme non versate in precedenza, ha ricevuto un avviso bonario;
- il contribuente, per le somme non versate in precedenza, ha ricevuto un avviso di accertamento;
- c'è un contenzioso in corso.
Versamento acconto a giugno 2022
Il contribuente ha versato per la prima volta l'IMU a giugno 2022, in attuazione delle norme introdotte dal D.L. n. 146/2021.
In tal caso il contribuente:
- non eseguirà il versamento a saldo;
- presenterà al Comune istanza di rimborso per la somma versata in acconto. L'istanza deve essere debitamente motivata e documentata
Versamento IMU nei cinque anni precedenti
Il contribuente che ha versato l'IMU a partire da cinque anni fa fino alla rata di giugno 2022 può chiedere il rimborso per le somme versate. Considerato anche il versamento di acconto di giugno 2022, si arriva fino al 2017.
Verrà presentata al Comune una apposita istanza di rimborso (debitamente motivata e documentata) per ogni anno versamento.
Dilazione di versamento con pagamento di alcune rate
Il contribuente che abbia in essere una dilazione di versamento, di cui ha saldato solamente le prime rate:
- non proseguirà al saldo delle rate residue;
- presenterà al Comune, per le somme già versate, istanza di rimborso debitamente motivata e documentata. Al Comune, chiederà altresì l'annullamento del provvedimento di dilazione.
C'è un avviso bonario per le somme non versate
Il contribuente ha ricevuto di recente un avviso bonario per l'IMU non versata in precedenza.
In questo caso il contribuente, se ci sono ancora i termini, può presentare al Comune un'apposita richiesta di autotutela. La richiesta deve essere debitamente motivata e documentata.
C'è un avviso di accertamento per le somme non versate
Il contribuente ha ricevuto di recente un avviso di accertamento per l'IMU non versata in precedenza. In questo caso il contribuente:
- se ci sono ancora ampi termini, può presentare al Comune un'apposita richiesta di autotutela. La richiesta deve essere debitamente motivata e documentata.
- se i termini sono in scadenza, può presentare alla Corte di Giustizia tributaria di primo grado competente un apposito ricorso debitamente motivato e documentato.
C'è un contenzioso pendente Il contribuente ha presentato ricorso avverso l'avviso di accertamento (o il diniego al rimborso) alla Corte di Giustizia tributaria di primo grado e il ricorso è ancora pendente. In questo caso il contribuente invierà alla Corte di Giustizia apposita memoria (debitamente motivata e documentata), riproponendo l'accoglimento del ricorso.
Fonte: Ipsoa Quotidiano Lavoro
Comments