La Cassazione ha affermato che nell'ipotesi in cui le operazioni attive effettuate da un esportatore abituale mutino la propria natura, cioè perdano “il cappello” della non imponibilità indossando quello dell'imponibilità ai fini IVA, il plafond deve essere rettificato (Cass. 19 ottobre 2022 n. 30800).
La fattispecie in esame prende origine da una importante società attiva nel comparto della cantieristica italiana. In particolare, la società aveva costruito un'imbarcazione di lusso e, successivamente, l'aveva ceduta a una società britannica in regime di non imponibilità IVA, maturando un pesante plafond utilizzato negli anni successivi a quelli in cui le fatture erano state registrate.
Chiaramente, nei limiti della capienza del plafond, il soggetto aveva rivestito la qualifica di esportatore abituale e, pertanto, era legittimato ad effettuare acquisti senza applicazione dell'IVA ex art. 8 c. 1 lett. c) DPR 633/72.
La società acquirente, tuttavia, nell'anno successivo ai periodi d'imposta di emissione delle fatture, aveva deciso di mutare la destinazione dello yacht a un utilizzo privato.
Tale cambio di “registro” aveva comportato l'emissione di una regolare nota di debito da parte della società italiana che esponeva applicazione dell'imposta sulle fatture emesse, con conseguente adempimento degli obblighi di versamento alla casse erariali.
In ogni caso, questo il punto centrale della problematica, la variazione in aumento avrebbe dovuto imporre la rettifica del plafond maturato, qualificandosi, a dire il vero giustamente secondo l'Amministrazione finanziaria, una specie di “splafonamento postumo”.
La tesi (puntuale) della Suprema Corte
La ricostruzione viene giudicata corretta dai giudici, secondo i quali è indubbia l'indebita fruizione del regime di non imponibilità IVA sugli acquisti già effettuati dalla società in esame, in conseguenza della rettifica del plafond che era stato indebitamente utilizzato.
La modifica del plafond maturato, volendo esemplificare, ha effetti ex tunc incidendo direttamente e immediatamente sulle operazioni effettuate con il “marchio” del plafond stesso.
A bene vedere, infatti, in caso di operazioni non imponibili, l'assenza di limitazioni alla detrazione dell'IVA sugli acquisti farebbe sì che i soggetti che effettuano solo, o prevalentemente, operazioni di tal fatta, finirebbero per trovarsi costantemente in credito con l'Erario, giacché l'esiguità del debito IVA concernente le operazioni imponibili non varrebbe a compensare l'IVA maturata a credito sugli acquisti. Per questa ragione, sostengono i Giudici, il legislatore consente a tali operatori, al fine di evitare che si trovino in permanente attesa del rimborso dell'eccedenza di imposta, di effettuare acquisti senza applicazione dell'IVA, includendo tra le operazioni non imponibili anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi compiute nei loro confronti.
Ed invero, anche richiamando precedenti sul tema, il plafond rappresenta il limite quantitativo monetario utilizzabile nell'anno successivo per procedere ad acquisti in sospensione di imposta.
Se così è, anche seguendo il ragionamento sistematico dei Giudici, appare evidente come la non imponibilità degli acquisti effettuati dall'esportatore abituale discenda direttamente dalle cessioni all'esportazione e dalle operazioni ad esse assimilate dal medesimo compiute, che ne costituiscono al contempo presupposto e limite quantitativo monetario utilizzabile nell'anno successivo, in quanto è da esse che il plafond è alimentato, con la conseguenza che la riduzione del plafond per effetto della mutata natura dell'originaria operazione non imponibile IVA e la sua sopravvenuta imponibilità, incide sul plafond maturato (comportando uno splafonamento) e non può che comportare l'obbligo, in capo all'importatore abituale, di assolvere secondo il regime ordinario l'IVA dovuta per gli acquisti effettuati.
Fonte:QuotidianoPiù
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